Il giuslavorista testimonia con una lettera d’amore il percorso spirituale che la sofferenza causata dalla malattia della moglie Costanza gli ha permesso di intraprendere

Silvia Lucchetti 

È una grande testimonianza di amore e insieme di profondità spirituale la lettera di addio alla moglie Costanza: “Il tesoro nascosto dove mai lo immagineremmo”, che il giuslavorista Pietro Ichino ha pubblicato sul suo blog. Nel libro: “La casa nella pineta” egli ha raccontato come era sbocciato il loro amore in montagna e dei fermenti della società italiana che avevano vissuto insieme negli anni 70 e 80. Nel 1973 si erano uniti in matrimonio da cui sono nate due figlie. Costanza, ricercatrice di storia moderna all’Università di Bergamo, decise di lasciare quel posto fisso e ben retribuito per seguire il marito,all’epoca caporedattore per la Rivista Italiana di diritto del lavoro, accontentandosi per 23 anni di un modesto contratto come co.co.co. Circa otto anni fa Costanza ha iniziato a soffrire di Paralisi Sopranucleare Progressiva, chiamata anche Sindrome di Richardson, una rara malattia neurodegenerativa ad esordio verso la sesta/settima decade di vita che si manifesta con paralisi dello sguardo, instabilità posturale, rigidità progressiva e demenza moderata. La progressione della malattia costringe i pazienti alla sedia a rotelle a causa delle frequenti cadute, mentre i disturbi della respirazione, le difficoltà a deglutire e le infezioni sono le principali cause del decesso, che avviene generalmente 6-12 anni dopo l’esordio.

La paura iniziale

Scrive Ichino:

In questi due ultimi anni nei quali la mia vita è stata legata a quella di Costanza ancor di più di quanto non fosse stata nei precedenti, per tutte le svariate necessità dell’assistenza diurna e soprattutto notturna, in molti mi hanno chiesto come facessi a sopportare questo grande sacrificio. All’inizio confesso che anch’io ne fui spaventato. Mi parve un caso in cui non si poteva applicare la grande regola secondo cui a cercare il bene nascosto in ogni situazione difficile, lo si trova sempre. Provai ad impegnarmi in questa prova con uno spirito sportivo: “vediamo quanto resisto”. Poi, pian piano, mi sono accorto dei tesori che questa situazione nascondeva.

Una intimità mai vissuta prima

Mi ero impegnato a essere per Costanza le gambe che aveva perduto, gli occhi al posto dei suoi che non funzionavano più, e nell’ultimo periodo anche le braccia e le mani per lavarsi, pettinarsi, vestirsi, portare il cibo alla bocca; questo ben presto ha creato tra me e lei, dopo 45 anni di matrimonio, un’intimità che non avevamo mai vissuto. Ogni volta – e potevano essere decine in una giornata – che lei mi chiedeva di spostarsi dal letto o dalla poltrona alla carrozzella e viceversa era un abbraccio stretto, e qualche volta ci fermavamo a metà strada abbracciati così, indugiando a dondolarci come in un ballo cheek to cheek. Abbiamo scoperto la delizia nuova, mai sperimentata prima, del leggere insieme ad alta voce per lunghe ore serali libri stupendi, che letti insieme diventano ancora più belli. Ma l’intimità maggiore era quella delle sveglie notturne per una delle tante necessità, anche solo per aiutarla a cambiare posizione nel letto: accadeva che non ci riaddormentassimo subito, ma restassimo a lungo abbracciati nel letto parlando sottovoce di tutto quello che più ci stava a cuore, dai problemi di figlie e nipoti a quello che sarebbe stato di noi nelle prossime settimane e mesi.

Parlando insieme della morte

E, a differenza di quel che accade di giorno – perché di giorno non si riesce a parlare della morte – nel buio della notte riuscivamo a parlare serenamente del tempo che ci era lasciato da vivere insieme e di quello che sarebbe seguito, nel quale lei non sarebbe stata più qui, ma che lei provava a immaginare con me, così in qualche modo lasciando in esso un segno della sua presenza. Riguardando indietro a questi ultimi due anni nei quali la malattia ha infierito più duramente su Costanza, e di riflesso su chi la assisteva, non ho solo una memoria di sofferenza: è stato forse il periodo più ricco e intenso di tutto il nostro matrimonio, che pure, nell’arco dei quasi cinquant’anni della sua durata, è stato straordinariamente ricco di vita e di lavoro comune.

Il tesoro nascosto

Così quella regola del cercare il bene nascosto in tutte le pieghe della vita, che in questo nostro ultimo caso pareva subire una evidente eccezione, o pareva addirittura non poter essere menzionata senza assumere il significato di un’irrisione alla sofferenza, si è invece rivelata ancora una volta tangibilmente vera. Se mi è consentito utilizzare una parola grossa, la “fede” in quel bene nascosto si è rivelata non solo frutto di speranza, non solo immaginazione di una consolazione promessa altrove, ma conoscenza – nel senso più profondo del termine – di qualche cosa di molto concretamente tangibile.

Il desiderio di cercare il bene nascosto in ogni situazione di cui parla Pietro Ichino nel suo scritto, mi ha ricordato il gioco del sii sempre contento di Pollyanna. Quanto è difficile trovare il buono nelle situazioni di dolore della vita! Una riflessione bellissima da leggere e rileggere che racconta un legame d’amore profondo e rinnovato durante la malattia di Costanza, che ha offerto loro la possibilità attraverso un sofferto percorso spirituale, di vivere un’esperienza meravigliosa, una vera grazia: scoprire il volto della gioia nella difficoltà, “il tesoro nascosto dove mai lo immagineremmo”.

Aleteia, 12 maggio 2020