Uno scrittore vede in questi mesi di epidemia la conferma di una tendenza: dalla parte del Papa speranza e dialogo, dall’altra burocratismo ipocrita

di Sandro Veronesi

Per quanto mi riguarda la Fase 1, cioè il confinamento, ha finito di mettere a fuoco un fenomeno sul quale avevo cominciato a riflettere già in precedenza, e cioè: in Italia il mondo laico boccheggia, mentre quello cattolico è pieno di vita. Ho ripensato agli stereotipi con cui sono cresciuto: a don Abbondio, l’ur-prete della nostra cultura, tutto impotenza e viltà; a don Camillo, astuto e prepotente; ai cardinali labbruti e predaci della commedia all’italiana, al prete con l’occhio pio di Carlo Verdone che parla un italiano improponibile. «Neanche un prete per chiacchierar», dice una delle canzoni italiane più amate nel mondo, «Azzurro», per indicare la noia estrema di un solitario pomeriggio d’agosto. E non ci sono dubbi che questi stereotipi provenissero da un Paese vitale e in crescita — una crescita laica. Ora non è più così.

Il dibattito su ogni cosa in Italia è ancora monopolizzato dalla cultura laica, che tuttavia non è più in grado di presentarsi mediante i colossi di cui si serviva in passato — politici, scienziati, giornalisti, artisti, imprenditori, sportivi. Lascio agli analisti più preparati di me il racconto della transizione, e mi limito a ricordare la prima clamorosa lezione che la Chiesa ha inflitto al mondo laico, nel 2013: l’11 febbraio il Pontefice in carica, Benedetto XVI, si dimette durante il concistoro per la canonizzazione dei martiri di Otranto, e le sue dimissioni divengono effettive 17 giorni dopo. Il mondo laico comincia a prefigurare scenari apocalittici per la Chiesa cattolica, dilaniata dalle lotte intestine. Il Conclave che inizia il 12 marzo viene presentato come il più drammatico della storia moderna, con la prospettiva di uno stallo mortale che avrebbe indebolito la Chiesa fino al punto di non ritorno. Invece, il giorno dopo, alla quinta votazione, il Conclave proclama il nuovo Papa — e che Papa. Per contro, appena un mese dopo, il Parlamento italiano si trova ad anticipare l’elezione del nuovo presidente della Repubblica per evitare l’ingorgo istituzionale dovuto al «semestre bianco» (notare come il lessico sia già invertito), e dopo un certo numero di goffi tentativi andati letteralmente a schifìo, tutte le principali forze politiche si riconoscono incapaci di espletare il proprio dovere e vanno in ginocchio da Giorgio Napolitano a supplicarlo di accettare un secondo mandato, a 88 anni, per salvare l’Italia laica e democratica dallo stallo nel quale è sprofondata.

Già questo sarebbe dovuto bastare per farci capire che il vento era cambiato, ma la maggior parte degli esponenti del mondo laico non l’ha capito e ha continuato a non capirlo negli anni successivi, mentre papa Francesco sollevava temi fondamentali il cui peso la politica laica, via via sempre più rachitica e orfana, non riusciva più a sostenere.

Il resto è storia recente. Il governo giallo-verde, l’asinina sudditanza mostrata da maggioranza e opposizione al tentativo di autoritarismo messo in atto da Salvini, la resistenza invece irriducibile del Vaticano, la crescita di giornali come AvvenireFamiglia CristianaL’Osservatore Romano e Vita, il dialogo, anzi i dialoghi aperti dalla Chiesa con tutti i comparti della cultura laica trascurati e mortificati dalla politica e, infine, la pandemia. Il mondo laico che produce polverosi funzionari tutti impegnati a snocciolare numeri senza senso mentre ogni prete che fa sentire la propria voce sembra depositario dei valori necessari per superare la prova. Non soltanto l’immagine blu di Francesco che prega da solo in Piazza San Pietro vuota: il parroco di Codogno o un giovane prete di Bergamo visti per caso in TV, i sacerdoti sui social, gli amici preti sentiti per telefono — solo da loro è venuta l’ispirazione, la compassione e la forza necessarie per affrontare lo sprofondo in cui il fallimento della scienza, per secoli baluardo della cultura laica, ci aveva condannato. Un fallimento («non sappiamo nulla») condito però da un’arroganza insopportabile, fino a pochi giorni fa, con il Commissario straordinario Arcuri che alla vigilia della Fase 2, con trentamila morti seppelliti senza funerale, dice in conferenza stampa «Noi abbiamo fatto al meglio la nostra parte, adesso tocca a voi»; con l’ossessione compulsiva nel combattere le feste e il divertimento — come se noi, idioti, non avessimo ancora capito la pericolosità degli assembramenti, come se il confinamento di due mesi non fosse stato rispettato anche nelle regioni con bassissimo contagio, e come se non si fosse visto che i giovani sono stati perfetti, maledizione, perfetti nel rispettare le regole. Nel frattempo il Papa continua a macinare ogni mattina preghiere e a costruire ponti (come dall’etimologia della sua carica) col mondo laico, attraverso i quali possano essere uniti i valori comuni. È odiato da un mucchio di sovranisti, per questo, ma anziché farsene intimorire tira avanti con sempre maggior decisione.

Così, mentre comincia la Fase 2 non si può rimandare oltre la constatazione che i valori si sono rovesciati: speranza, dialogo e condivisione si trovano nei dintorni del mondo cattolico, mentre l’ottusità e la pochezza di vedute, il conservatorismo autoassolutorio e il burocratismo ipocrita e bigotto infettano la nostra nobile tradizione laica. Finché, spero presto, essa si ribellerà, e la satira, il cinema, la letteratura, provvederanno a cambiare i propri bersagli, e il tipo rimasto da solo in città, d’agosto, lamenterà di non avere «neanche un Brusaferro (presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, ndr) per chiacchierar».

Corriere della Sera, 8 maggio 2020